LA RIVOLUZIONE DIGITALE E L’INNOVATION MANAGEMENT

LA RIVOLUZIONE DIGITALE E L’INNOVATION MANAGEMENT
Una finestra di opportunità che deve essere sfruttata in tutte le sue potenzialità #Unappanoicisiamo

Il principale pregio della rivoluzione digitale consiste nella sua pervasività. Ce ne rendiamo conto ormai quotidianamente, di fronte a molte delle attività che facciamo in famiglia e nella nostra vita privata, così come sul lavoro, in azienda e nel rapporto con le amministrazioni pubbliche. Non è infatti un caso che nei paesi in cui gli effetti della rivoluzione digitale si sono già fatti sentire con forza, e sono stati opportunamente sfruttati in tutte le loro potenzialità, si tenda chiaramente a riconoscere come l’intervento di queste nuove tecnologie sia assolutamente trasversale. Nei paesi anglosassoni, per esempio, dove la cultura dell’innovazione la fa da padrona, sono per i primi i governi ad adeguare i provvedimenti normativi che adottano a questa nuova realtà, cercando sempre di incentivare il ricorso alle tecnologie digitali in tutte le attività sociali, economiche e produttive in cui ciò più fornire evidenti benefici.

 

Il nostro paese sta cercando di progredire, anche se ancora per piccoli e spesso timidi passi, in questa direzione. Ne è un esempio il Decreto del Ministero per lo Sviluppo economico del 7 maggio 2019 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1 luglio 2019) con il quale sono stati istituiti i voucher per incentivare l’acquisizione di consulenze manageriali finalizzate a sostenere i processi di trasformazione tecnologica digitale delle PMI e delle reti di impresa.

Grazie a questo Decreto, imprese e reti di impresa potranno servirsi, con contratti di consulenza della durata di almeno nove mesi, di una figura di manager dell’innovazione, fruendo di un contributo nella forma del voucher - appunto - a copertura dal 30 al 50 per cento dei costi sostenuti per l’attivazione di questa nuova funzione, rispettivamente fino a un massimo di 25 mila euro e fino a un massimo di 40 mila euro per la singola impresa, ovvero fino a un massimo di 80 mila euro nel caso delle reti di impresa. Un provvedimento che si pone giustamente l’obiettivo di accrescere e accelerare l’applicazione delle tecnologie digitali nel mondo delle piccole e medie imprese, al fine di rispondere più adeguatamente alle sfide di un mercato sempre più globalizzato e competitivo. E che comporta per lo Stato un esborso a fondo perso di 25 milioni di euro all’anno per il 2019 e il 2020.

Gli ambiti in cui tali voucher potranno essere messi a frutto sono quelli già previsti dal Piano nazionale impresa 4.0, che vanno dalla big data analysis al machine learning, dal clouding alla cyber security, passando dall’integrazione di tecnologie NPR alla simulazione, dalla prototipazione alla robotica, dalla stampa tridimensionale al digital marketing, fino a più ampi programmi di open innovation. In generale, si tende sollecitare le organizzazioni a rafforzare la propria attività con l’occhio puntato all’innovazione, che è sempre più digitale negli strumenti ma resta anzitutto culturale dal punto di vista del metodo e dell’approccio. Molteplici sono gli ambiti in cui le tecnologie digitali possono dare un contributo decisivo allo sviluppo e decisivo può anche essere l’aiuto di soggetti terzi che con le loro competenze possono rendere più efficace ed efficiente questo passaggio.

Si tratta peraltro di uno strumento molto flessibile, che vuole rappresentare un’opportunità affinché anche l’universo delle piccole e medie imprese possano procedere verso quel salto di qualità necessario a renderle competitive in un ambiente economico in cui le grandi corporation, predominanti a livello globale, hanno già fatto delle tecnologie digitali un atout fondamentale per il loro successo.

Tuttavia alcuni rilievi, e non del tutto marginali, devono essere avanzati. In particolare, per quel che concerne le condizioni di accreditamento della nuova figura del manager dell’innovazione, per la quale è prevista la costituzione di un elenco presso il Ministero dello Sviluppo economico. A tale proposito si parla, da un lato, di accreditamento ammissibile per le figure professionali già iscritte negli Albo istituiti presso Unioncamere, le associazioni di rappresentanza dei manager e gli enti paritetici (composte da associazioni di rappresentanza dei manager e rappresentanze datoriali), nonché le regioni per l’erogazione dei contributi regionali o comunitari. Immaginando, in questo modo, di introdurre una sorta di percorso di accreditamento indiretto, attraverso canali già a disposizione nelle istituzioni sopra menzionate.

Dall’altra poi, si stabilisce la possibilità di un accreditamento a titolo individuale, riguardante i possessori di un dottorato di ricerca in alcuni settori scientifico-disciplinari (Scienze matematiche e informatiche, Scienze fisiche, Scienze Chimiche, Scienze Biologiche, Ingegneria industriale e dell’informazione, Scienze economiche e statistiche), chi ha conseguito un master universitario di secondo livello o una laurea magistrale negli stessi settori con almeno rispettivamente 1 anno o 3 anni di incarichi pregressi nelle imprese, o infine in seguito all’aver svolto per almeno 7 anni incarichi nel settore dell’innovazione digitale presso imprese. Giusto in ogni caso procedere con differenti modalità di accreditamento e soprattutto introdurre forme direttamente connesse al possesso di credenziali professionali documentabili. È ormai acclarato che competenze scientifiche o educative conseguite a seguito di un dottorato di ricerca o un master di secondo livello, in molti ambiti disciplinari in cui l’uso delle tecnologie digitali è ormai fondamentale, possono assolvere alle necessità previste dalla nuova figura del manager dell’innovazione anche senza avere alle spalle anni di esperienza professionale che in ogni caso rimane, l’esperienza, un tassello molto importante da tenere in grande considerazione.

Quel che non si capisce, però, è perché nel caso delle credenziali educative ci si debba irrigidire nell’accreditamento esclusivo di alcuni settori scientifici di pertinenza. E inoltre non è ben chiaro se nell’accreditamento stesso vengano incluse alcune professioni, come quelle non ordinamentali (Legge n. 4/2013), il cui operato quotidiano è strettamente legato alle piattaforme digitali, così come al Piano nazionale impresa 4.0.

In particolare, questa nuova regolamentazione non consente ad oggi di comprendere nel dettaglio alcuni punti fondamentali, che a suo tempo avevamo già segnalato al Ministero dello Sviluppo economico, in particolare a quali soggetti ci si riferisca quando nel Decreto si fa riferimento a figure professionali specifiche. Come spesso accade, si rinvia agli Albo presso Unioncamere, associazioni di rappresentanza e enti paritetici, ma non ai professionisti qualificati in base alla Legge n.4/2013, che a tutt’oggi costituisce il secondo pilastro – quello non ordinamentale – del sistema duale delle Professioni. Un ambito nel quale sono presenti molti professionisti e organizzazioni che hanno le competenze, l’organizzazione e l’esperienza professionale per supportare l’introduzione e lo sviluppo delle tecnologie digitali nel processo produttivo.

UNAPPA è una tra le associazioni che rappresentano questo mondo, da tempo impegnata sul terreno dell’innovazione, che si è battuta per l’affermazione dei processi legati alla firma digitale, alla conservazione a norma, alla comunicazione telematica, e che oggi è impegnata nel definire il proprio contributo e la propria partecipazione al modello dell’innovation management.

UNAPPA da sempre qualifica e rappresenta professionisti che operano nel settore digitale quali “Responsabili Privacy – DPO” e “Responsabili Conservazione” oltre che “esperti in procedure amministrative digitali”. È iscritta dal 2015 nel “Registro delle professioni non regolamentate” presso il Ministero dello Sviluppo economico. Una qualifica che ci consente di poter supportare sul campo con efficacia - in termini di competenza, conoscenza ed esperienza – le PMI e reti di impresa impegnate nel processo di innovazione digitale. Perciò auspichiamo che la nostra associazione possa essere da subito coinvolta nelle politiche di innovation management senza subire veti o ostacoli di altro tipo che spesso si manifestano all’avvio di importanti trasformazioni a favore di alcuni soggetti e a scapito di altri.

In altri termini, la diffusione della rivoluzione digitale e la sua propensione a investire diverse attività e professioni dovrebbe favorire una definizione dei criteri attestanti le competenze in questo campo più ampia. Poiché la finalità del decreto è contribuire alla diffusione di forme di innovazione digitale attraverso l’incentivazione delle imprese a servirsi di consulenze in questo settore, il Legislatore dovrebbe mettere in campo tutte le opzioni per rafforzare e accelerare l’innovazione digitale del sistema paese.

E così come nell’ambito dei vari percorsi formativi in anni recenti si sono sviluppati molti programmi di formazione superiore - in particolare nei corsi di dottorato di ricerca e nelle lauree magistrali - relativi all’analisi dei big data, al machine learning e alla cyber security (solo per fare gli esempi di specializzazione più diffusa), allo stesso modo nell’ambito delle professioni di supporto alle imprese, molte figure professionali hanno avuto modo di sviluppare nuove competenze specifiche proprio rispetto all’utilizzo di portali e piattaforme digitali, per esempio nell’espletamento delle pratiche di autorizzazione amministrativa ma sviluppatesi poi nei tempo, anche in altri comparti. E questa la competenza specifica che l’associato UNAPPA vuole mettere in campo per supportare il mondo dell’impresa, esattamente come già sta facendo in altri ambiti strategici per lo sviluppo delle attività produttive del nostro paese.

Uno spazio per fare chiarezza su questo punto c’è ancora, dato che il Decreto, pubblicato sul sito del MISE il 2 luglio scorso, rimanda a un successivo provvedimento del Direttore Generale per gli incentivi alle imprese del Ministero, che tempo trenta giorni dovrà definire le modalità di presentazione delle domande di iscrizione all’elenco dei manager e delle soggetti di consulenza qualificati.

Sia chiaro, non intendiamo dire che la presenza di competenze non debba essere accertata e certificata. Ma la verifica circa la disponibilità delle competenze appropriate non dovrebbe essere esercitata in via esclusivamente burocratica, perché ciò potrebbe significare escludere un insieme di possibilità in grado a loro volta di sfruttare l’innovation management e le nuove tecnologie digitali in tutte le loro potenzialità. In definitiva, il “voucher per l’innovazione” a cui molti bandi di finanziamento oggi fanno riferimento, è una opportunità da cogliere per attestare il nostro paese a quel livello di innovazione ormai indispensabile per poter competere nel mondo dei mercati globali, oltre che per migliorare la qualità della vita quotidiana di tutti noi. Vediamo di farne un’occasione di crescita e sviluppo il più possibile diffusa.

 

AGID

15 luglio 2019

Aggregatore Risorse